Chi ha paura dello smart working?

Chi ha paura dello smart working?


L’irrompere dello smart working nello scenario lavorativo italiano vede profilarsi due fronti e due soluzioni opposte, l’una per il comparto pubblico e l’altra per quello privato.

Se le Linee Guida appena emesse dal Ministro Brunetta pongono la “prevalenza del lavoratore in presenza” come caposaldo apodittico e indiscutibile, nel privato i datori di lavoro hanno già normalizzato lo smart working come modalità di lavoro base per ogni singolo lavoratore, compatibilmente e in sintonia con le esigenze produttive aziendali.

Tra il privato e il pubblico sembrano dunque profilarsi due opposte teorie dell’organizzazione del lavoro, una moderna e progressista (quella privata), l’altra retrograda e conservatrice (quella pubblica). Vediamo perché.

Dalle rilevazioni statistiche dell’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, risulta che i lavoratori risparmiano ogni giorno 74 minuti in media per il tragitto casa-lavoro-casa e 15 euro medi per le spese di trasporto. Le strutture amministrative calcolano in 5000 Euro per addetto, il risparmio medio annuo da contenimento dei costi di struttura. Inoltre, grazie allo smart working, è ampiamente dimostrato che la produttività aumenta del 15-20% e che si riducono sia le ore di assenteismo sia i costi derivanti da straordinari e indennità di trasferta/viaggio. Infine, l’apprendimento digitale forzato dei lavoratori della PA nella fase acuta pandemica per continuare da remoto a produrre i servizi essenziali, ha creato un notevole aumento di competenza digitale e dunque di prestazione.

Ma a cosa sono valsi i sacrifici fatti dai lavoratori della PA se tutto ciò viene ora misconosciuto, ridimensionato? Che non si stia perpetrando con ciò un approccio coercitivo, antimodernista, dal vago sapore neoliberista? Viene il dubbio che si persegua la solita narrazione di un cattivo funzionamento della PA, come anticamera del suo smantellamento a favore dei privati.

Questo spiegherebbe come mai un dato sotto gli occhi di tutti sia invece non tenuto nella giusta considerazione: la coincidenza tra il rientro in presenza del personale della PA del Lazio e l’aumento giornaliero dei contagi. La curva, che era in fase calante nonostante la riapertura delle scuole in presenza, ha assunto rapidamente un andamento di tipo parabolico, il cui picco non è ancora prevedibile. Dal 15 Ottobre ad oggi, il numero dei contagi del Lazio è passato da 194 a 1810, esattamente come a fine Marzo scorso, quando l’allarme era generalizzato al punto che gli studenti stavano in Dad e i dipendenti pubblici tutti in smart working.

Nelle parole di Brunetta, lo scopo dichiarato – ma non dimostrato – è quello di alzare il PIL dello 0,2-0,3% annuo (9 ottobre, Forum in masseria con Bruno Vespa). Questo obiettivo governativo sembra voler riportare tutti a una fase pre Covid, al controllo taylorista del lavoratore, visto come mero esecutore di compiti, a una concezione passatista della PA del tutto contraria alla spinta nazionale alla transizione ecologica, alla digitalizzazione e all’educazione digitale del paese, contraria alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e dunque antitetica al wellness generale della PA.

Questo “delirio di subalternità” ammantato di falso nuovo efficientismo della PA, finirà col penalizzare la prestazione del pubblico di fronte a quella del privato, confermando con ciò, se i lavoratori della PA non rivendicheranno con forza lo smart working al pari dei loro colleghi del settore privato, l’assunto neoliberista che lo Stato è inefficiente e pertanto deve essere ridotto ai minimi termini. Affamate la Bestia! Parola di Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

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