Verso un’economia circolare e sostenibile, non solo efficiente

Verso un’economia circolare e sostenibile, non solo efficiente


di Agostino Marottoli – 14/02/2024

La nostra epoca è segnata da una serie di profondi cambiamenti che stanno ridefinendo i modelli economici, sociali e politici. Questi mutamenti, spesso accelerati dalla rapida avanzata della tecnologia, ci pongono di fronte a sfide senza precedenti e ci costringono a riconsiderare le basi su cui si regge il nostro modo di vivere e di organizzare la società. Siamo coinvolti in un contesto storico caratterizzato dall’abbondanza senza precedenti di risorse e mezzi ma, di contro, sembra che la nostra società abbia perso di vista i suoi veri fini. Ci troviamo di fronte a un dilemma: da un lato, l’ambizione scientifica e l’arroganza tecnologica accelerano il progresso; dall’altro, dubitiamo della nostra capacità di influire sul nostro destino comune. È un confronto che delinea l’appartenenza ad un sistema complesso in cui gli elementi in gioco sono interdipendenti e vanno affrontati ponendo contemporaneamente in discussione l’uso delle risorse, la politica, l’economia e la società.

Uno dei principali osservati è il sistema capitalistico che ha dominato la scena economica degli ultimi tre secoli. Se da un lato esso ha avuto un ruolo centrale nella trasformazione del mondo moderno il cui sviluppo è stato guidato dall’accumulazione di capitale, dall’espansione del mercato dei capitali, dagli investimenti nella ricerca e un evidente miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro oggi il capitalismo viene messo in discussione per la sua capacità di garantire ulteriore benessere, essendo responsabile di crisi ricorrenti, disagi sociali e danni ambientali. Il capitalismo ha sostenuto l’industrializzazione e aumentato la domanda grazie all’aumento dei profitti e del reddito ma ha portato anche a una crescente disuguaglianza, con una forbice sempre più ampia tra i redditi da capitale e quelli da lavoro. Inoltre, il mercato dei capitali e del credito si è dimostrato estremamente volatile, suscettibile agli umori e alle condizioni economiche e politiche. Le recessioni economiche sono diventate una caratteristica endemica del sistema economico, alimentate dalle fluttuazioni dei mercati finanziari e dall’instabilità intrinseca del sistema.

Il capitalismo, fondamentale motore dell’economia moderna, porta con sé due caratteristiche intrinseche: l’instabilità e la disuguaglianza. La prima è una delle sue prime peculiarità. Questo sistema economico è soggetto a fluttuazioni e crisi cicliche, le cui cause possono essere varie, dall’innovazione tecnologica agli eventi geopolitici. Tali turbolenze hanno un impatto significativo sull’andamento dell’economia e sulla vita delle persone. La disuguaglianza, invece, permea ogni aspetto della società capitalistica. Si manifesta nella distribuzione del reddito e della ricchezza, nelle opportunità tra generazioni e nei divari di speranza di vita. Questa disparità non è solo economica, ma anche etica, influenzando il concetto di equità e giustizia sociale. Essa non è solo dannosa dal punto di vista sociale, ma può anche minare la democrazia stessa. Una distribuzione iniqua della ricchezza mina la coesione sociale e favorisce tensioni e conflitti. Inoltre, il capitalismo spesso consuma risorse pubbliche, come l’ambiente, per generare ricchezza privata. Questo modello di sviluppo insostenibile mette a repentaglio il benessere delle future generazioni e la salute del pianeta.

Negli ultimi decenni, l’offensiva predatoria neoliberista ha accentuato ulteriormente l’instabilità e le disuguaglianze, promuovendo politiche che favoriscono le élite economiche a discapito della classe lavoratrice. La globalizzazione ha amplificato questa tendenza, portando a una maggiore concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi. Il fenomeno della “crescita senza lavoro” e la diffusione dei “working poor” evidenziano la fragilità del legame tradizionale tra occupazione e reddito. Senza interventi statali o soluzioni innovative, come un reddito universale di base, il divario tra ricchi e poveri è destinato ad aumentare.

In conclusione, il capitalismo, sebbene abbia portato a progresso economico e sviluppo, presenta gravi criticità legate all’instabilità e alla disuguaglianza. Affrontare queste sfide richiederà un impegno congiunto da parte della società e delle istituzioni per garantire un’economia più equa e sostenibile per tutti e, soprattutto, assumere la consapevolezza che le risorse della Terra non sono infinite e che questo impone alle teorie economiche un nuovo rapporto con la natura, un riconoscimento del suo valore intrinseco e delle sue limitazioni.

Il rapporto Dasgupta evidenzia il declino del capitale naturale e la necessità di un cambiamento radicale nei nostri stili di vita e nei nostri modelli economici. Non possiamo più ignorare i danni che stiamo infliggendo all’ambiente per il bene del nostro benessere economico. La sostenibilità non è solo una questione di tecnologia o di mercato. È una questione di sopravvivenza. Dobbiamo smettere di affidarci ciecamente al progresso tecnologico e al mercato e iniziare a prendere decisioni basate su una comprensione più profonda delle leggi fisiche che governano il nostro pianeta. La sfida quindi non riguarda solo la scienza o la tecnologia, ma anche le dinamiche sociali e politiche che influenzano la nostra capacità di affrontare questa crisi.

Nel dibattito attuale sulla sostenibilità e sul cambiamento climatico, emergono chiaramente diverse prospettive e sfide che la società deve affrontare. Da un lato, c’è il riconoscimento scientifico che le risorse naturali non possono essere sfruttate all’infinito senza conseguenze disastrose. La termodinamica ci insegna che, anche con processi di riciclo o recupero, continueremo a produrre scorie non riutilizzabili, alimentando un ciclo di degrado ambientale. D’altro canto, esistono condizioni per uno sviluppo sostenibile, che richiedono un bilanciamento attento tra l’utilizzo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, la gestione responsabile dell’inquinamento e il mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi.

Un elemento cruciale nell’affrontare la sfida della sostenibilità è pertanto il cambiamento dei paradigmi culturali ed economici. Mentre alcuni settori della società, spesso guidati da interessi economici e politici consolidati, resistono ai cambiamenti necessari, altri cercano soluzioni innovative e olistiche. Questi ultimi vedono le economie umane e gli ecosistemi naturali come interdipendenti, e promuovono una visione del progresso che non si limita alla crescita economica ma include il benessere sociale e la tutela dell’ambiente.

Tuttavia, la sfida più grande potrebbe essere culturale e politica. L’emergere di movimenti populisti e autoritari, spesso associati alla negazione del cambiamento climatico e alla ricerca di capri espiatori per le sfide socio-economiche, rappresenta un ostacolo significativo per l’adozione di politiche sostenibili. Questi movimenti alimentano la paura e l’insicurezza, facendo appello a identità nazionali e valori tradizionali per contrastare le spinte verso una maggiore equità e protezione ambientale.

In questa complessa interazione tra scienza, politica ed economia, la fiducia nella conoscenza scientifica è stata erosa e manipolata per sostenere determinate posizioni politiche ed economiche. Le élite intellettuali e giornalistiche hanno perso la loro influenza, mentre la comunicazione politica si basa sempre più sull’emozione e sulla propaganda anziché sui fatti e sulla razionalità. Quello che accade, in pratica, è che i cittadini (elettori) tendono a coalizzarsi (raggrupparsi) attorno a “coalizioni di advocacy” più o meno spontanee per difendere o opporsi a proposte politiche, facendo un uso selettivo delle informazioni fornite dalla scienza (quando è conforme alle loro richieste). La cosiddetta Post Truth Politics PTP nasce dalla coalescenza di processi inferenziali autorizzati da pregiudizi cognitivi che creano un’opportunità per il discorso propagandistico di distorcere la comunicazione, creando «serbatoi di ideologia» (cioè, sistemi di convinzioni) che sono resistenti al ragionamento basato sui fatti. Di contro, la sinistra, tradizionale portavoce del pensiero progressista, sembra aver perso la sua strada. Incapace di elaborare una visione coerente del mondo e di proporre alternative significative, si è piegata alla narrativa dominante del capitale.

Assumere una consapevolezza diffusa della direzione pericolosa che stiamo percorrendo, richiederà un impegno collettivo per superare la disinformazione, costruire una visione comune del futuro e riconquistare la fiducia nella scienza e nelle istituzioni democratiche. Solo attraverso un dialogo aperto e inclusivo, basato sulla ricerca della verità e del bene comune, potremo sperare di affrontare con successo le sfide della sostenibilità e del cambiamento climatico, preservando il nostro pianeta per le prossime generazioni.

Uno degli elementi chiave di questa trasformazione è rappresentato dalla necessità di adottare un approccio circolare nell’economia, che mira a ridurre al minimo lo spreco di risorse e a massimizzare il riutilizzo dei materiali. Questa visione, che si basa sul principio della circolarità e attribuisce alla dottrina ecologica un approccio etico “transdisciplinare che vede le economie umane e gli ecosistemi naturali come interdipendenti e co-evolventi, sia inter-temporalmente che spazialmente” (Gallegati, Ardeni, 2024), non solo riduce l’impatto ambientale delle nostre attività, ma può anche contribuire a ridurre le disuguaglianze e a promuovere una maggiore equità sociale. Tuttavia, per realizzare pienamente il potenziale della transizione, è necessario affrontare una serie di sfide e ostacoli. Una di queste è rappresentato dalla mancata trasformazione da consumatori a cittadini consapevoli, pronti ad affrontare i problemi collettivamente anziché individualmente. La sopravvivenza di questo modello di crescita dipende dalla nostra capacità di disobbedienza, dall’essere pronti a sfidare lo status quo e a lavorare insieme per creare un futuro migliore.

È fondamentale riconoscere i limiti e le contraddizioni del sistema capitalistico di stampo neoliberista mainstream. Sebbene esso abbia consentito il benessere materiale a molti, ha anche generato una serie di problemi, tra cui una crescita irregolare, profonde disuguaglianze e il degrado dell’ambiente. La separazione tra crescita del reddito e dell’occupazione, unita alla disoccupazione tecnologica, sta generando una crisi del lavoro che richiede soluzioni innovative e politiche coraggiose.

È qui che entra in gioco il ruolo della politica. La robotizzazione, l’intelligenza artificiale e il progresso tecnologico in generale offrono opportunità uniche per ridefinire il nostro sistema economico e sociale. L’introduzione di un reddito universale di base potrebbe contribuire a ridurre la povertà e le disuguaglianze, sostenendo nel contempo la domanda e lo sviluppo economico. Tuttavia, per realizzare questo obiettivo, è necessario un forte impegno politico e una visione chiara del futuro. In conclusione, la transizione verso un’economia circolare e sostenibile rappresenta una sfida significativa, ma anche un’opportunità unica per ridefinire il nostro modo di vivere e di organizzare la società. Per realizzare questo obiettivo, è necessario un impegno collettivo e una visione politica chiara, che ponga al centro il benessere delle persone e la salvaguardia del pianeta. Solo attraverso un’azione coordinata e determinata possiamo sperare di affrontare con successo le sfide del nostro tempo e di costruire un futuro migliore per tutti.

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