Sicuri che la tecnocrazia salverà il mondo?

Sicuri che la tecnocrazia salverà il mondo?


Di Massimo Maria Ferranti – 15/03/24

Come ha argomentato il Segretario Generale dell’ONU Guterres in una recente intervista, viviamo in un’epoca in cui i cambiamenti climatici sono diventati un tema centrale che unisce i destini di tutti gli abitanti del pianeta e richiede una risposta unita e coordinata da parte di tutte le nazioni e delle comunità internazionali. È un fatto innegabile che la questione debba essere affrontata con urgenza e determinazione, poiché il nostro futuro comune dipende da come reagiamo a questa sfida. Se non agiamo insieme per superare questa crisi, rischiamo di perdere tutti, senza eccezioni.

Notizie scientifiche recentissime da parte dello IUGS International Union of Geological Science’s hanno evidenziato che la comunità scientifica non ha ancora raggiunto un consenso definitivo sul determinare l’effettivo inizio dell’Antropocene. La decisione ha messo fine a una discussione cominciata quindici anni fa e l’ha rimandata ad altri tempi futuri. Indipendentemente da questo dubbio sull’inizio o meno della nuova era geologica, c’è piena consapevolezza che l’impatto dell’uomo sulla Terra è diventato così significativo da influenzare profondamente il nostro pianeta.

Le conseguenze sono evidenti in molte forme, dalle armi nucleari all’inquinamento delle acque e dell’aria, dallo sfruttamento eccessivo del suolo alla perdita di biodiversità. È una realtà minacciosa che richiede un’immediata azione e un cambiamento significativo nel nostro comportamento e nei nostri sistemi.

La domanda che ci poniamo è se l’umanità sarà in grado di evitare la fine imminente, la catastrofe che minaccia la nostra specie. La risposta dipende da noi e dalle azioni che intraprendiamo oggi.

Un importante e significativo segnale positivo in questo senso, ancorché non risolutivo, viene dall’Unione Europea che, pur essendo di fatto una tecnocrazia spesso lontana dalle effettive esigenze dei cittadini e dei territori, nei giorni scorsi ha approvato la direttiva definita giornalisticamente “Casa Green”. Essa stabilisce nuove regole per le prestazioni energetiche nell’edilizia, allo scopo di ridurre progressivamente entro il 2030 le emissioni di gas serra e, parallelamente, i consumi energetici nel settore nonché di pervenire alla neutralità climatica entro il 2050. Gli edifici privati di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030, mentre i nuovi edifici occupati dalle autorità pubbliche o di loro proprietà dovranno raggiungere quest’obiettivo due anni prima, a partire dal 2028. In particolare, per gli edifici residenziali non di nuova costruzione, i Paesi membri dovranno adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata (rispetto al 2020) di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035.

Occorrerà volontà, tempo ed energie affinché gli Stati membri si organizzino, recepiscano la direttiva e reperiscano le necessarie risorse finanziarie, ma la strada giusta è stata imboccata e non sarà possibile tornare indietro. Per il nostro paese, che non dispone di fonti energetiche proprie ed è afflitta in alcune aree, come la Pianura Padana, da livelli record d’inquinamento, è senza dubbio una buona notizia sebbene non sufficiente e risolutiva della complessità della sfida al cambiamento climatico.

Abbiamo quindi tutte le possibilità, le tecnologie e le soluzioni politiche necessarie per affrontare questa sfida, ma è importante trovare quella coesione intellettuale, sociale ed economica che permetta di agire insieme, tutti insieme, per avere successo. In aggiunta, è fondamentale assumere la consapevolezza che il tempo per agire è ora anche in termini di responsabilità delle nostre azioni e delle loro conseguenze. Tutti, dalle istituzioni rappresentative mondiali, ai governi, fino ai singoli cittadini, sono chiamati ad affrontare questa sfida collettiva e garantire un futuro migliore.

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