Ripensare il concetto di Progresso nell’era del consumismo: il ruolo della decrescita

Ripensare il concetto di Progresso nell’era del consumismo: il ruolo della decrescita


Il consumismo ha da sempre occupato il centro delle dinamiche socio-economiche, fungendo da parametro per il progresso e il benessere delle società industrializzate. Legato all’idea di crescita, produzione e espansione dei mercati, il consumo è stato per lungo tempo considerato l’epicentro dell’etica del lavoro, spingendo le masse verso una continua ricerca di soddisfazione materiale attraverso una contrattazione salariale che consentisse la capacità di acquisto. Tuttavia, mentre da una parte le rivendicazioni salariali possono assumere connotati politici e sociali, dall’altra i comportamenti sembrano rimanere costantemente intrappolati nella logica di mercato, incapaci di liberarsi dal fascino del consumismo e di resistere al suo potere pervasivo.

Questa corsa al consumo, incredibilmente accelerata dalla svolta neoliberista dell’economia di mercato degli anni ’70 ha di fatto contribuito a generare crescenti disuguaglianze all’interno della società. L’allargamento della forbice tra materie prime e prodotti finiti, accompagnato dall’aumento dei prezzi e del costo della vita, ha avvantaggiato le fasce più agiate a discapito dei meno abbienti. In questo contesto, la redditività salariale, anziché avanzare al pari della produzione e migliorare le condizioni di vita delle persone, tende ad essere stagnante e assorbita da un equilibrio economico solo ai livelli più alti delle fasce sociali, facendo allontanare sempre più l’idea di una crescita comune ed equa. Al tempo stesso, la promessa di benessere del Progresso tecnologico ed estrattivo è venuta inevitabilmente meno.

È in questo scenario che emerge la proposta di Serge Latouche riguardo alla “decrescita serena”, un concetto che ha suscitato un notevole interesse fin dai primi anni del nuovo millennio. Questa filosofia, che propone di riconsiderare il concetto stesso di progresso, sposta l’attenzione dalla quantità di ricchezza prodotta e consumata alla qualità della vita. Latouche evidenzia il circuito perverso che si è creato intorno all’interpretazione distorta del concetto di “benessere”, una volta legato alla salute fisica e mentale, ma ora dominato da un consumismo aggressivo e predatorio.

L’avvento delle rivoluzioni industriali ha portato con sé una serie di tecnologie sempre più avanzate, automatismi e nuove fonti di energia, promuovendo una maggiore facilità di comunicazione e produzione. Tuttavia, questo cosiddetto “progresso” ha anche comportato numerose conseguenze negative, tra cui inquinamento, esaurimento delle risorse naturali, disoccupazione e crisi economica. La crescente automazione, ulteriormente specializzata dall’avvento dell’intelligenza artificiale, ha portato ad un progressivo ridimensionamento della necessità di manodopera umana, contribuendo così alla diffusione della disoccupazione e della precarietà estesa non solo al contesto lavorativo ma, praticamente, a ogni ambito della vita.

Il consumismo non è un fenomeno recente. Dal punto di vista sociale, ha radici profonde che affondano nella storia, con le prime manifestazioni risalenti alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX. Inizialmente considerato una liberazione dal bisogno e una fonte di felicità, il consumo è però diventato sempre più ossessivo nelle generazioni successive di pari passo all’idea dell’illimitatezza delle risorse. Tuttavia, l’entusiasmo iniziale è stato gradualmente sostituito da una crescente consapevolezza dei suoi effetti negativi, al punto da diventare il principale antagonista a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile così come declinato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Nel corso del tempo e dal punto di vista più prettamente sociologico, il consumismo ha contribuito considerevolmente al processo di costruzione dell’identità individuale egoista e isolata propria della società liquida contemporanea e ha lasciato di riflesso spazio a una ricerca collettiva di significati più profondi e meno materiali. Questo cambiamento, evidenziato dalla nascita del concetto di “consumo critico”, promuove una maggiore consapevolezza e responsabilità nell’atto di consumare e, tutto sommato, dell’essere parte di un contesto globale. Ciò si è rivelato anche con una crescente disillusione nei confronti dello stile di vita occidentale e con una conseguente progressiva stigmatizzazione sociale, sia da parte dei movimenti ecologisti che da una crescente coscienza civile.

La società di massa, dominata dal capitalismo come regolatore dell’ordine sociale ed economico, ha raggiunto il suo apice nel XX secolo. Senza dubbio, agli occhi contemporanei più sensibili, questo modello ha dimostrato di essere insostenibile nel lungo periodo, lasciando irrisolti numerosi problemi legati alla sicurezza, alla stabilità economica e al benessere collettivo. Il declino dell’economia come motore sociale evidenzia la necessità di ripensare i paradigmi dominanti e di cercare nuove forme di progresso e di soddisfazione individuale.

La decrescita serena proposta da Latouche rappresenta un’alternativa interessante a questo modello esaurito. Essa invita a riconsiderare il concetto stesso di progresso, ponendo l’accento sulla qualità della vita anziché sulla quantità di beni materiali accumulati. Attraverso una riduzione consapevole del consumo e un maggiore rispetto per l’ambiente e le risorse naturali, si apre la strada a una società più equa, sostenibile e soddisfacente per tutti i suoi membri.

Allo stato attuale, il consumismo trainato dal capitalismo, specie nella sua declinazione neoliberista che ha dominato per lungo tempo le dinamiche socio-economiche delle società industrializzate, vede il suo ruolo centrale gradualmente in diminuzione a causa dell’evidenza dei suoi effetti negativi e della crescente consapevolezza collettiva. La proposta di decrescita serena merita di rappresentare un’opportunità per ripensare il concetto stesso di progresso e per intraprendere un percorso verso una società più equilibrata, sostenibile e orientata alla qualità della vita.

Queste considerazioni, frutto delle attività di studio di Pensare Insieme che nel tempo si è confrontata con menti brillanti quali Domenico De Masi, Jean Paul Fitoussi, Jeffrey D. Sachs, Mauro Gallegati, Antonio Calafati, Pier Giorgio Ardeni, Francesco Saraceno, Roberto Danovaro, Mauro Ceruti, Francesco Bellusci, Giuseppe Iglieri, Paolo Maddalena e altri, proprio nel momento in cui la consapevolezza riprende vigore in un clima di crisi profonda per l’umanità, richiedono una costanza di dialogo sulla necessità di soluzioni improcrastinabili e immuni dalle trappole dell’efficienza costantemente ventilate dal pensiero conservatore.

Il tema della decrescita pertanto, in linea con tale maggiore diffusa consapevolezza, prende rinnovata consistenza sui tavoli dei policy influencer, specie laddove siedono nuove generazioni impegnate a salvare il salvabile in quella che, probabilmente, è l’ultima chiamata per evitare l’inevitabile. Le proposte non mancano, sia con soluzioni globali come quelle indicate da Jeffrey D. Sachs nello spostamento di risorse – specie quelle destinate agli armamenti – dai paesi più ricchi a quelli più poveri in termini di servizi e infrastrutture, sia con una consapevolezza culturale capillarmente diffusa nelle more di un nuovo umanesimo planetario. È altresì importantissimo, per evitare una visione eterodiretta di stampo tipicamente e storicamente occidentale, che questo auspicato processo dialogico trovi consistenza in ogni ambito culturale del pianeta.

Per concludere, l’imperativo quindi è “dialogare” per risolvere al meglio i conflitti ideologici che affliggono questo particolare momento storico e per creare una comunità di destino globale in grado di comprendere l’urgenza dell’azione. Lo fa sicuramente l’iniziativa “Beyond Growth Conference Italia 2024” a cui Pensare Insieme non farà mancare il proprio contributo intellettuale.

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